Hammonton, l’italianissima capitale mondiale del mirtillo

Giugno e luglio sono due mesi molto importanti per la cittadina statunitense di Hammonton. Il 27 giugno si tiene il Festival “Red, White and Blueberry“, dedicato al frutto di cui la regione è uno dei massimi produttori mondiali. E il 16 luglio, dal lontano 1875, si tiene la Processione della Madonna del Monte Carmelo, la più antica organizzata da una comunità italoamericana. 

Hammonton, nel New Jersey, è una cittadina di circa 14.000 abitanti situata a metà strada tra Philadelphia e Atlantic City. Secondo il Censimento del 2000, il 45,9% della popolazione di Hammonton è di ascendenza italiana; una percentuale che fa del comune il terzo in termini di quota di Italoamericani. Ma, se l’emigrazione italiana negli Stati Uniti è stata perlopiù urbana, la comunità italoamericana di Hammonton è da sempre essenzialmente rurale, con una storia più simile a quella dell’epopea della Conquista del West che non a quella delle Little Italy sparse per gli States. E, per capirla, è necessario partire dalla peculiare geografia della regione, che all’arrivo dei primi Italiani si presentava come una frontiera da conquistare. 

Hammonton si trova nel cuore della regione delle Pine Barrens, tra l’Oceano Atlantico e la valle del fiume Delaware. Malgrado la sua vicinanza a quella che sarebbe diventata la Megalopoli Nordorientale, la regione rimase a lungo una terra di frontiera, inadatta a gran parte delle colture per via del suo suolo sabbioso e che per questo, ancora oggi, è in gran parte una landa selvaggia. 

Fu solo verso la metà dell’Ottocento che due imprenditori di Philadelphia, vedendo nella zona un potenziale agricolo, iniziarono ad acquistare terreni, costruendo nel contempo un piccolo villaggio, ed a rivenderli ai coloni. Uno di questi fu Salvatore Calabrese, un contadino originario di Gesso, un paesino sulle pendici dei Monti Peloritani (in provincia di Messina). Questi, dopo aver comprato un po’ di terra convinse alcuni compaesani a partire anche loro con la promessa di terre fertili. I racconti popolari, in quell’epoca, avevano un grande ruolo nel favorire l’emigrazione, e nel giro di pochi anni più della metà degli Ibbisoti si era trasferita ad Hammonton. 

Negli anni Venti del Novecento, più del 60% della popolazione di Hammonton aveva un cognome italiano. Gran parte di loro era dedita all’agricoltura, e i più iniziavano da stagionali per poi diventare proprietari di piccoli appezzamenti di pineta su cui, dopo il disboscamento, impiantavano coltivazioni di fragole, lamponi e uva. La loro era un’agricoltura di tipo intensivo, basata sul lavoro della famiglia e per questo molto diversa dall’agricoltura estensiva praticata in gran parte degli States, ad alta intensità di capitale e di terra. L’estensione media delle fattorie, a Hammonton, era di venti acri (circa otto ettari): una superficie non paragonabile a quella dei ranch di luoghi come il Texas, ma sufficiente a garantire a una famiglia la possibilità di vivere del lavoro della propria terra, e che in ogni caso non ha costituito un limite nella trasformazione di Hammonton nella “capitale mondiale del mirtillo”, iniziata proprio in quegli anni. 

Le Pine Barrens, dopotutto, hanno un suolo acido che le rende uno dei non molti luoghi adatti alla coltivazione del mirtillo gigante americano (blueberry); e questa fattispecie di mirtillo, in grado di produrre fino a cinque chili di frutti per arbusto, non richiede necessariamente grandi estensioni. La Atlantic Blueberry Company, fondata nel 1935 dai fratelli Galletta (figli di una coppia di immigrati italiani), fu per anni il primo produttore di mirtilli a livello mondiale, e ancora oggi oltre l’80% dei mirtilli raccolti nel New Jersey – a sua volta tra i primi sei maggiori produttori di mirtilli negli States – viene dalla Contea di Atlantic, dove si trova per l’appunto Hammonton. 

Una curiosità: Hammonton è la città natale di origine dell’attuale First Lady Jill Biden. Nata Jacobs, il suo cognome da nubile è in realtà un’anglicizzazione di Giacoppo e cela un’ascendenza da quegli impavidi ibbisoti che nel corso degli ultimi due secoli hanno trasformato quella che fino ad allora era una terra paludosa e malsana nella capitale mondiale del mirtillo. Eppure, nella cittadina, a vincere le elezioni è da sempre il Partito Repubblicano. E una parte del merito, forse, va a Ronald Reagan, che durante una visita alla cittadina nel 1984 coniò quel nomignolo che da allora la contrassegna. 

 

Scritto da Giuseppe Cappelluti

Gli AIRE sono tenuti a pagare le tasse in Italia se…

A seguito dell’Ordinanza n. 8286 del 15 marzo 2022, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini dell’imposizione fiscale, sono da considerarsi soggetti passivi i cittadini italiani che pur iscritti all’AIRE risultano domiciliati in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta. Tra gli elementi che possono portare un soggetto ad essere considerato come tale, oltre ad interessi patrimoniali e professionali, abbiamo anche l’esistenza di legami personali e familiari in Italia, e in particolare “la disponibilità di un immobile preso in affitto in Italia” e “la stipula di un contratto di locazione di due posti auto”.

Una sentenza che dimostra un approccio predatorio nei confronti dei nostri concittadini all’estero da parte di uno Stato che, anziché stimolarne il ritorno, pretende di trattarli come delle risorse da sfruttare. Un concittadino all’estero che passa più di sei mesi in Italia pur essendo impiegato da un’azienda estera non è una mucca da mungere, ma un portatore di ricchezza per il nostro Paese, che anziché spendere le proprie entrate all’estero le spende in Italia, con indubbie ricadute positive sull’economia locale. E il tutto vale a maggior ragione per le regioni più svantaggiate, che in questo modo possono frenare un’emorragia di popolazione che va avanti ormai da anni e assistere invece alla rifioritura di attività locali, con inevitabili ricadute positive sull’occupazione.

Paesi come il Portogallo, nel corso degli anni, hanno fatto molta fortuna sulla capacità di attrarre nomadi digitali. Gli Italiani all’estero possono essere una fonte alquanto massiccia di nomadi digitali, molti dei quali peraltro non andrebbero tanto alla ricerca del clima migliore o del trattamento fiscale più conveniente, ma della possibilità di stare vicini alla propria famiglia ed ai propri amici. La ricerca di questi attributi intangibili fa sì che questi rientranti siano destinati a rimanere a lungo nel nostro Paese, qualora fossero create le condizioni migliori per stimolarne il rientro, e pretendere di mungerli come vacche non è il modo migliore di approcciarsi a loro.

 

Scritto da Giuseppe Cappelluti

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